OMAGGIO ALLA POESIA ED IN PARTICOLARE ALL'OPERA DI MAURIZIO MENNITI - compositore di musica, autore di testi e libri. Questo è il suo primo libro di poesie - E ALLA CARA AMICA, CINZIA BALDAZZI - laureata all'Università "La Sapenza" di Roma. Giornalista, collaboratrice di programmi Rai, ha svolto attività di critica teatrale e letteraria su quotidiani e periodici. Cura la rubrica di recensioni "Pensiero dominante" sul sito www.poesieinversi.it
Buona lettura!
dal
sito www.lavoceditutti.it
Libri
“Passi
nel tempo”
|
di
Maurizio Minniti
poesie
commentate da Cinzia Baldazzi
Pagnini
Editore, Firenze
|
di
Antonio Mazza
|
Ha senso la poesia oggi, il “far poesia” in
una fase storica dove, in virtù di una evoluzione cibernetica sempre più
accelerata, siamo sommersi di informazioni spesso superflue che ci rubano
spazio e tempo? Poiché di questo ha bisogno essenzialmente la poesia, in chi la
crea e in chi ne fruisce, di momenti di vuoto in cui espandere il proprio io,
dilatare la fantasia nel dare come nel ricevere e perché ciò avvenga è
necessaria una dimensione di silenzio, breve o lunga che sia. Proprio il
contrario di quanto offre la realtà intorno, a prescindere, ovviamente, da
altre cause pur di primaria importanza, come la situazione sociopolitica ed il
generale scadimento culturale dovuto per buona parte ad anni e anni di
tv-spazzatura.
Se mettiamo insieme tutte queste componenti è un bel corto circuito, per cui atteniamoci al dato puramente elettronico, per così dire, al “multitasking”, il surplus informatico, e cerchiamo di dare una risposta. E’ vero, siamo frastornati di notizie e per l’internauta acritico è facile perdersi, ma se il web schiavizza (vedi la gustosa satira della ragazza dipendente nello show della Dandini) al contempo può anche essere sinonimo di libertà. E di cultura e, quindi, anche la poesia vi rientra, adoperando i canali informatici e riempiendo quello spazio-tempo che proprio il tracimare della cibernetica rischia di toglierci. Una riappropriazione, esattamente come fa la collega Cinzia Baldazzi col sito www.poesieinversi.it, affinché non si perdano tutti quei frammenti di vite trasfigurate che sono alla base dell’ispirazione poetica.
Se mettiamo insieme tutte queste componenti è un bel corto circuito, per cui atteniamoci al dato puramente elettronico, per così dire, al “multitasking”, il surplus informatico, e cerchiamo di dare una risposta. E’ vero, siamo frastornati di notizie e per l’internauta acritico è facile perdersi, ma se il web schiavizza (vedi la gustosa satira della ragazza dipendente nello show della Dandini) al contempo può anche essere sinonimo di libertà. E di cultura e, quindi, anche la poesia vi rientra, adoperando i canali informatici e riempiendo quello spazio-tempo che proprio il tracimare della cibernetica rischia di toglierci. Una riappropriazione, esattamente come fa la collega Cinzia Baldazzi col sito www.poesieinversi.it, affinché non si perdano tutti quei frammenti di vite trasfigurate che sono alla base dell’ispirazione poetica.
“Passi nel tempo”, di Maurizio Minniti, è la situazione scelta per capire il
senso della poesia oggi, situazione la cui densità compositiva permette meglio
di verificare la validità della parola-immagine e del contesto poetico in
generale. Ma Cinzia non si limita ad una rilettura puramente semantica del
testo, sarebbe riduttivo, lei vi entra all’interno, lo accompagna e lo
commenta, passo dopo passo. Ciò che conta per lei è l’“aura poetica”, cioè
quella sorta di pulviscolo che si irradia dal momento lirico e coinvolge il
lettore, intessuta di sogni, ricordi, sensazioni improvvise, ombre evanescenti.
Ma è sempre il ricordo che guida il pensiero e cresce fino a modellare come una
calda nicchia dove sono custodite le visioni di un tempo passato o di un
desiderio futuro.
La poetica
di Minniti seduce subito il lettore, perché si sviluppa per assonanze e
levigate scansioni ritmiche, che amplificano il senso di fragilità intrinseco
alle immagini evocate, immagini a loro volta specchio di un “transeunte”
individuale e collettivo (“Ascolto il mio tempo/ e mi accorgo che è come/ una
corda spezzata” e, ancora, “Ciò che ascolti è come il niente/ scivola via senza
traccia”). E’ un percorso nel tempo, come dice il titolo, per recuperare il
proprio sé disperso, magari riapprodando per un attimo alla “oasi bianca”
dell’infanzia, nel rassicurante alveo dove sono maturate e cresciute le proprie
radici (“A mia madre”, “A mio padre”, ma anche “Aquiloni”). E spesso ricorre
l’anafora, la ripetizione della medesima parola ad inizio dei versi, con una
chiara funzione espressiva.
E qui interviene la Baldazzi il cui lavorìo esegetico non si non si limita però solo all’aspetto linguistico, ha un orizzonte più ampio, affrontando il discorso dell’estetica dell’opera letteraria che, se già non è facile in sé, diventa ancora più complesso con la poesia, per la sua intrinseca impercettibilità. Servendosi degli strumenti critici desunti dal patrimonio filosofico del secolo scorso analizza dall’interno il “farsi” della poesia, i suoi ritmi segreti che ne fanno un modo altro di rappresentare la realtà. E’ il senso di estraniamento che essa provoca, quel sentore di lontananza che un filosofo atipico come Galvano della Volpe tentava di razionalizzare. Ma altri ne cita la Baldazzi a sostegno del suo percorso critico parallelo, da Dewey a Heidegger e da Wittgenstein a Benjamin, passando per Chomsky, essendo inevitabile una considerazione di tipo semiologico.
Diciamo che la sua è una decodificazione del testo poetico e se, indubbiamente, ne rivela i meccanismi non si limita però ad una mera esercitazione semantica, di rimandi fra significante e significato (e spesso nella poesia non v’è coincidenza fra loro, a differenza del romanzo o del racconto, e proprio in questo sta il suo fascino), ma coinvolge quel lato sfuggente che è la sfera emozionale, dove matura la poesia. E dove avviene l’incontro, il dialogo segreto fra i versi sparsi sulla carta ed il lettore. L’“aura poetica”, appunto.
E qui interviene la Baldazzi il cui lavorìo esegetico non si non si limita però solo all’aspetto linguistico, ha un orizzonte più ampio, affrontando il discorso dell’estetica dell’opera letteraria che, se già non è facile in sé, diventa ancora più complesso con la poesia, per la sua intrinseca impercettibilità. Servendosi degli strumenti critici desunti dal patrimonio filosofico del secolo scorso analizza dall’interno il “farsi” della poesia, i suoi ritmi segreti che ne fanno un modo altro di rappresentare la realtà. E’ il senso di estraniamento che essa provoca, quel sentore di lontananza che un filosofo atipico come Galvano della Volpe tentava di razionalizzare. Ma altri ne cita la Baldazzi a sostegno del suo percorso critico parallelo, da Dewey a Heidegger e da Wittgenstein a Benjamin, passando per Chomsky, essendo inevitabile una considerazione di tipo semiologico.
Diciamo che la sua è una decodificazione del testo poetico e se, indubbiamente, ne rivela i meccanismi non si limita però ad una mera esercitazione semantica, di rimandi fra significante e significato (e spesso nella poesia non v’è coincidenza fra loro, a differenza del romanzo o del racconto, e proprio in questo sta il suo fascino), ma coinvolge quel lato sfuggente che è la sfera emozionale, dove matura la poesia. E dove avviene l’incontro, il dialogo segreto fra i versi sparsi sulla carta ed il lettore. L’“aura poetica”, appunto.