Bisogna essere molto forti per amare la solitudine.
(Pier Paolo Pasolini)
Ed è da questa frase che arriva come un tuono una riflessione ... personalmente adoro la solitudine, pur stando a meraviglia tra le persone, riesco a sentirmi a mio agio. Credo ci siano due tipi di solitudine: la scelta di rimanere consapevolmente soli e l'imposizione a farlo.
Credo, in ogni caso, che l'unica nostra forza, sia la consapevolezza. La solitudine, cercata e trovata di attimi o giorni, fa bene, aiuta a maturare e a conoscerci in profondità. Mentre sentirsi soli in mezzo alla gente è una mancanza di fiducia in noi stessi, un disagio da combattere.
Raffaella Amoruso
Un bell'articolo da leggere a riguardo:http://www.nienteansia.it/articoli-di-psicologia/disturbi-e-patologie/solitudine-di-vita/772/
La solitudine è un sentimento d’inquietudine forte, un senso di
estraneità a sé, un disagio di fronte a noi stessi, un “dis-agio” non
ben identificato, è un senso di tremolio e di indefinitezza sobbalzante
allo stomaco, un senso di fragilità alle gambe e confusione alla testa.
Non c’è nessuno intorno a noi, nessuno accanto a noi, non vediamo
nessuno e non sentiamo nessuno, siamo completamente isolati in una
piazza affollata, ci sentiamo incompresi in mezzo a tante orecchie, non
sentiamo conforto di fronte a tante parole!
Non si sa bene cosa si sta sentendo, cosa pensare e come affrontare
ciò che ci capita. E’ una condizione che alberga nelle nostre anime, ma
difficile da afferrare e definire.
Nel mondo dell’arte si trovano sovente scritti ed opere che ne
parlano, in modo più o meno diretto. La ritroviamo sotto le vesti di
una speranza ormai morta nella domenica del villaggio (Giacomo
Leopardi), nel vuoto desolante del dopo bombe devastanti, di una guerra
mondiale (Giuseppe Ungaretti), come nostalgia della terra natia (Ugo
Foscolo), come costante ricerca di una musa ispiratrice alla stregua
dell’amor cortese (Dante Alighieri). E non è forse la solitudine,
l’orrore di un urlo muto, di una condizione angosciante, quella che
s’intravede in modo inquietante, nella rappresentazione di Munch?
Pensate poi alla solitudine kafkiana, di un uomo che si vede ridotto ad
uno scarafaggio, relegato in un angolo della casa e della società, per
poi essere spazzato via, proprio nel momento in cui smette di essere
utile, produttivo e sfruttabile. Non resta più traccia di umanità!
Forse la solitudine rappresenta la fonte della disperazione, che
muove l’uomo anche nell’angoscia di morte. Infatti la morte ci spaventa,
solo come proiezione di vita, come termine di qualcosa che non è stata
piena e “accompagnata”. Per cui, l’angoscia di morte in realtà non è
altro che angoscia di vita, l’angoscia di una vita poco sentita, povera,
mancante di qualcosa. Un’assenza, generata da una solitudine di vita
costante e da una codardia che produce fuga e negazione. Allora, non si
può tollerare che tutto finisca, perché questo tutto non è stato
adeguato, non è stato sufficiente e soddisfacente, come se non fosse
stato vero ma vissuto da dietro un vetro, privato di possibilità
importanti. Questo tutto, è niente.
E la morte rappresenta la fine definitiva di una qualche possibilità, mai raccolta prima.
La solitudine è un sentire veramente divorante. E’ difficile da
conoscere, da tenere a freno, da arginare. E’ come un fantasma che
sfugge da tutte le parti. Incute un terrore profondo, desolazione e
tristezza. Ci lascia vuoti, sfiniti, senza contenuti.
Nella maggior parte delle nostre esperienze, la solitudine è sinonimo
di malessere e angoscia. Ma, in verità la solitudine costituisce anche
un abisso da cui si può prendere le giuste distanze. Procedendo lungo un
filo che unisce i due versanti perfettamente equidistanti, quali lo
smarrimento e la lucidità cieca, si giunge ad un luogo sospeso, un’isola
di serenità. Si tratta di giocare a fare il trapezista, di volteggiare e
camminare con cautela su un terreno sospeso, procedendo sempre con
grande attenzione, per non rischiare il volo senza rete di protezione.
E’ un compito di tutta la vita, è la connotazione della vita stessa.
Vista così, si percepisce subito la fatica immane, che tale percorso
comporta. Se mai fosse realmente così, costituisce il prezzo dell’equità
e del rispetto di sé, la rinuncia alla compagnia vacua, la distanza
dalla dipendenza più bieca e strisciante.