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Biella
16.08.2012 - la storia
«Salviamo il piccolo Samuele»
Bimbo di 3 mesi malato al Cairo
I genitori rimasti senza denaro
Daniele Pasquarelli
Una corsa contro il tempo. Bisogna salvare Samuele
Canova, il bimbo di tre mesi affetto da fibrosi polmonare ed
encefalopatia ipossico ischemica, ricoverato in un ospedale americano al
Cairo. Il piccolo è di fatto «bloccato» in Egitto dalla stessa clinica
che pretende il pagamento completo delle spese mediche prima di farlo
partire: 10 mila euro. Ma i genitori, Luca Canova, biellese di Vigliano e
Sara Peira, torinese, che circa un anno fa si erano trasferiti a Sharm
el Sheik dove hanno rilevato una pizzeria, sono ridotti sul lastrico.
Hanno già speso oltre 100 mila euro e non hanno più denaro. Il tam-tam
su Facebook e la notizia apparsa per la prima volta, martedì scorso,
sulle pagine torinesi de La Stampa ha suscitato numerose reazioni.
L’avvocato ed ex deputato biellese Sandro Delmastro ha immediatamente
sollecitato l’onorevole valsesiano Gianluca Buonanno, che a sua volta ha
spedito un’interrogazione al ministro degli Affari Esteri, Giulio
Terzi, «per sapere quali urgentissime iniziative s’intendano assumere».
Lo stesso ha fatto la deputata radicale Rita Bernardini. Così ieri un
portavoce dell’ambasciata italiana al Cairo ha fatto visita per la prima
volta alla clinica dove il piccolo è ricoverato dal 26 maggio. Nel
frattempo è stato contattato il «Regina Margherita» di Torino che è
pronto ad accogliere il bimbo non appena rienterà in Italia: la
Farnesina potrebbe occuparsi del trasporto con un aereo attrezzato.
Intanto anche Specchio dei tempi raccoglie offerte da devolvere alla
famiglia: è sufficiente collegarsi al sito www.specchiodeitempi.org e seguire le indicazioni, specificando «per Samuele».
“Il mio bambino morirà
se non lo portiamo in Italia”
Samuele è ricoverato al Cairo. L’esterno della clinica del Cairo
dove ora Samuele si trova ricoverato. I genitori un anno fa sono partiti
da Torino per andare a lavorare a Sharm, «per sfuggire alla crisi»: con
50 mila euro avevano rilevato una pizzeria sulla strada principale
della cittadina
Due torinesi in Egitto:
«Non abbiamo più soldi
e speranze qui»
«Non abbiamo più soldi
e speranze qui»
Niccolò Zancan
Torino
L’idea era cambiare vita. Avere coraggio, buttarsi. Cinquantamila
euro per rilevare una pizzeria sullo stradone centrale di Sharm el
Sheik. Da Torino all’Egitto, tagliare fuori la crisi. È passato un anno,
la pizzeria ha ingranato, ma Sara Peira e Luca Canova sono disperati:
«Nostro figlio sta malissimo. È nato con dei problemi, che poi si sono
aggravati. Qui non riusciamo a curarlo, non capiamo neppure quello che
dicono i medici e abbiamo esaurito la nostra disponibilità economica.
Abbiamo già speso 20 mila euro in meno di tre mesi, ci serve aiuto,
dobbiamo riuscire a farlo trasferire in Italia».
Samuele è nato il 17 maggio: «Era bello, in gran forma, quattro chili e mezzo. Ma quasi subito mi sono accorta che il suo respiro faceva come un fischietto, pensavo fosse un po’ di catarro. Per due volte sono andata dal pediatra, è il mio primo figlio e sono un po’ apprensiva. Ma mi ha tranquillizzato e rimandato a casa. Diceva che non era niente». Il 26 maggio Samuele ha la febbre alta: «Giriamo le due cliniche di Sharm, nella prima il medico non può vederlo, nella seconda lo ricoverano subito. Non mangiava, era cianotico, iniziano a fargli i controlli».
Ieri mattina stavano cercando di organizzare il viaggio di ritorno. Ma prima è necessario fare una tracheotomia per «mettere in sicurezza» il respiro di Samuele. «Mi hanno chiesto altri 65 mila pound, circa 10 mila euro, ma non li abbiamo. Chiediamo aiuto al ministero degli Esteri, all’ambasciata, a chiunque. Samuele deve essere curato in un ospedale italiano».
Sul profilo Facebook di Sara Peira, che qui aveva frequentato l’istituto alberghiero Colombatto e gestito un locale che si chiamava «Miseria e nobiltà», ora c’è scritto: «Non chiedetemi amicizia. Sono piena di problemi».
La malattia
I problemi di Samuele hanno nomi clinici che fanno paura: fibrosi
polmonare e encefalopatia ipossico ischemica. È mancato ossigeno al
cervello. La voce di Sara Peira, 28 anni, arriva dal reparto infantile
del centro Dar El Fuad del Cairo, la cinica più moderna, attrezzata e
cara della zona. E mentre racconta , sforzandosi di mantenere la calma,
ogni tanto ha dei sussulti di ilarità nervosa: «Se non riesco a far
ricoverare Samuele in Italia - dice - finisce che ricoverano anche me». Samuele è nato il 17 maggio: «Era bello, in gran forma, quattro chili e mezzo. Ma quasi subito mi sono accorta che il suo respiro faceva come un fischietto, pensavo fosse un po’ di catarro. Per due volte sono andata dal pediatra, è il mio primo figlio e sono un po’ apprensiva. Ma mi ha tranquillizzato e rimandato a casa. Diceva che non era niente». Il 26 maggio Samuele ha la febbre alta: «Giriamo le due cliniche di Sharm, nella prima il medico non può vederlo, nella seconda lo ricoverano subito. Non mangiava, era cianotico, iniziano a fargli i controlli».
La crisi
E qui incomincia lo sprofondo. «Samuele viene intubato, ma non
migliora. Il secondo giorno ci dicono che è necessario farlo ricoverare
al Cairo. Organizziamo un’autoambulanza. Dobbiamo anticipare 2000 euro
all’autista, cioè il guadagno medio di un mese con la pizzeria. Ovvio
che li anticipiamo, per carità. Solo che durante il viaggio di sette
ore, con Samuele sedato, le cose peggiorano. All’arrivo stava malissimo.
Aveva crisi convulsive. Ed è a questo punto, quando gli fanno la Tac al
cervello, che vedono la mancanza di ossigeno».
Il denaro
Da quasi tre mesi Samuele Canova è ricoverato. Spesso è tenuto
nell’incubatrice in coma farmacologico. Respira grazie a un ventilatore.
Sua madre l’ha potuto prendere in braccio soltanto pochi minuti. Suo
padre continua a lavorare a Sharm per cercare di ammonticchiare un po’
di denaro. «Ma ormai il sogno è finito. Distrutto. Non ce la facciamo
più. Abbiamo ricevuto aiuto dalle nostre famiglie, abbiamo speso tutti i
risparmi, ora siamo a zero. E qui, ogni giorno, prima di salire in
reparto, bisogna passare negli uffici amministrativi. Alla cassa. È una
clinica molto americana, ma non ci sono alternative. E noi stiamo
impazzendo...». Ieri mattina stavano cercando di organizzare il viaggio di ritorno. Ma prima è necessario fare una tracheotomia per «mettere in sicurezza» il respiro di Samuele. «Mi hanno chiesto altri 65 mila pound, circa 10 mila euro, ma non li abbiamo. Chiediamo aiuto al ministero degli Esteri, all’ambasciata, a chiunque. Samuele deve essere curato in un ospedale italiano».
La paura
Giorni da incubo. I genitori non riescono neanche a capire bene le
conseguenze che potrebbe portare nella vita: «È difficile spiegarsi in
inglese... Io non capisco neanche cosa ha davvero il mio bambino». Sul profilo Facebook di Sara Peira, che qui aveva frequentato l’istituto alberghiero Colombatto e gestito un locale che si chiamava «Miseria e nobiltà», ora c’è scritto: «Non chiedetemi amicizia. Sono piena di problemi».