lunedì 3 dicembre 2012

RIFLESSIONE

Bisogna essere molto forti per amare la solitudine.

 (Pier Paolo Pasolini)


Ed è da questa frase che arriva come un tuono una riflessione ...  personalmente adoro la solitudine, pur stando a meraviglia tra le persone, riesco a sentirmi a mio agio. Credo  ci siano due tipi di solitudine: la scelta di rimanere consapevolmente soli e l'imposizione a farlo.
Credo, in ogni caso, che l'unica nostra forza, sia la consapevolezza. La solitudine, cercata e trovata di attimi o giorni, fa bene, aiuta a maturare e a conoscerci in profondità. Mentre sentirsi soli in mezzo alla gente è una mancanza di fiducia in noi stessi, un disagio da combattere.
Raffaella Amoruso


Un bell'articolo da leggere a riguardo:http://www.nienteansia.it/articoli-di-psicologia/disturbi-e-patologie/solitudine-di-vita/772/

La solitudine è un sentimento d’inquietudine forte, un senso di estraneità a sé, un disagio di fronte a noi stessi, un “dis-agio” non ben identificato, è un senso di tremolio e di indefinitezza sobbalzante allo stomaco, un senso di fragilità alle gambe e confusione alla testa. Non c’è nessuno intorno a noi, nessuno accanto a noi, non vediamo nessuno e non sentiamo nessuno, siamo completamente isolati in una piazza affollata, ci sentiamo incompresi in mezzo a tante orecchie, non sentiamo conforto di fronte a tante parole!
Non si sa bene cosa si sta sentendo, cosa pensare e come affrontare ciò che ci capita. E’ una condizione che alberga nelle nostre anime, ma difficile da afferrare e definire.
Nel mondo dell’arte si trovano sovente scritti ed opere che ne parlano, in modo più o meno  diretto. La ritroviamo sotto le vesti di una speranza ormai morta nella domenica del villaggio (Giacomo Leopardi), nel vuoto desolante del dopo bombe devastanti, di una guerra mondiale (Giuseppe Ungaretti), come nostalgia della terra natia (Ugo Foscolo), come costante ricerca di una musa ispiratrice alla stregua dell’amor cortese (Dante Alighieri). E non è forse la solitudine, l’orrore di un urlo muto, di una condizione angosciante, quella che s’intravede in modo inquietante, nella rappresentazione di Munch? Pensate poi alla solitudine kafkiana, di un uomo che si vede ridotto ad uno scarafaggio, relegato in un angolo della casa e della società, per poi essere spazzato via, proprio nel momento in cui smette di essere utile, produttivo e sfruttabile. Non resta più traccia di umanità!

Forse la solitudine rappresenta la fonte della disperazione, che muove l’uomo anche nell’angoscia di morte. Infatti la morte ci spaventa, solo come proiezione di vita, come termine di qualcosa che non è stata piena e “accompagnata”. Per cui, l’angoscia di morte in realtà non è altro che angoscia di vita, l’angoscia di una vita poco sentita, povera, mancante di qualcosa. Un’assenza, generata da una solitudine di vita costante e da una codardia che produce fuga e negazione. Allora, non si può tollerare che tutto finisca, perché questo tutto non è stato adeguato, non è stato sufficiente e soddisfacente, come se non fosse stato vero ma vissuto da dietro un vetro, privato di possibilità importanti. Questo tutto, è niente.
E la morte rappresenta la fine definitiva di una qualche possibilità, mai raccolta prima.
La solitudine è un sentire veramente divorante. E’ difficile da conoscere, da tenere a freno, da arginare. E’ come un fantasma che sfugge da tutte le parti. Incute un terrore profondo, desolazione e tristezza. Ci lascia vuoti, sfiniti, senza contenuti.
Nella maggior parte delle nostre esperienze, la solitudine è sinonimo di malessere e angoscia. Ma, in verità la solitudine costituisce anche un abisso da cui si può prendere le giuste distanze. Procedendo lungo un filo che unisce i due versanti perfettamente equidistanti, quali lo smarrimento e la lucidità cieca, si giunge ad un luogo sospeso, un’isola di serenità. Si tratta di giocare a fare il trapezista, di volteggiare e camminare con cautela su un terreno sospeso, procedendo sempre con grande attenzione, per non rischiare il volo senza rete di protezione.
E’ un compito di tutta la vita, è la connotazione della vita stessa.
Vista così, si percepisce subito la fatica immane, che tale percorso comporta. Se mai fosse realmente così, costituisce il prezzo dell’equità e del rispetto di sé, la rinuncia alla compagnia vacua, la distanza dalla dipendenza più bieca e strisciante.